John Locke


 John Locke, considerato il padre dell'empirismo moderno, contrappone la sua visione alla filosofia razionalista di Cartesio nel "Saggio sull'intelletto umano", in cui indaga criticamente le facoltà cognitive umane. Contrariamente a Cartesio, che attribuiva alla ragione un ruolo assoluto e indipendente dall'esperienza, Locke la collega strettamente all'esperienza, sottolineandone i limiti. Nel suo Saggio, Locke narra come, durante una discussione con amici su un argomento diverso, si rendano conto delle difficoltà e decidano di esaminare le capacità umane prima di affrontare temi complessi come la morale e l'educazione. Questo approccio critico alle facoltà cognitive umane consente di ottenere una prospettiva realistica sulle capacità umane, superando sia lo scetticismo radicale che l'idea di una conoscenza assoluta, e riconoscendo la capacità umana di guidare le azioni nel modo migliore con una conoscenza sufficiente.

Il Saggio sull'intelletto umano, strutturato in quattro parti, dedica la prima alla critica delle idee innate, un'analisi fondamentale per Locke nel processo di purificazione del terreno della conoscenza. Locke respinge l'antica teoria, riproposta da Cartesio e sostenuta da filosofi come Cudworth e More, secondo cui alcune idee sono innate nella mente umana. Argomenta che principi come quello di non contraddizione non sono universalmente condivisi, poiché bambini e individui con disabilità mentali non li comprendono. Locke evidenzia la varietà di concezioni su Dio e norme morali, dimostrando l'assenza di un consenso universale e confutando l'innatismo che ostacola il progresso della conoscenza.

Locke afferma che la nostra conoscenza deriva interamente dall'esperienza, poiché la mente umana è come un foglio bianco all'inizio della vita. Le idee si dividono in due categorie: le idee di sensazione, provenienti dagli oggetti esterni attraverso i sensi, e le idee di riflessione, derivanti dall'esperienza interna, compresi gli stati d'animo e le passioni. I bambini costruiscono gradualmente le loro conoscenze, partendo dalla familiarità con la nutrice e la culla, fino a sviluppare una cultura più ampia in base alle esperienze vissute. Locke sottolinea l'importanza dell'educazione nel plasmare questa conoscenza, tema che ha affrontato in un suo scritto di rilevanza pedagogica.

Locke distingue le idee in due categorie: semplici e complesse. Le idee semplici derivano da esperienze elementari di sensazione o riflessione e non possono essere ulteriormente suddivise. Queste includono qualità primarie, come estensione e movimento, e qualità secondarie, come colori e suoni. Le impressioni sensoriali producono idee semplici, come quelle legate alla forma e al sapore di una torta. Idee come il dubbio e l'amore derivano invece dalla riflessione interna. Le idee semplici sono i mattoni di base della conoscenza umana. Una volta acquisite, la mente le può memorizzare, riprodurre e combinare per formare idee complesse, come l'idea di "torta", che è una combinazione di elementi semplici. Tuttavia, l'intelletto umano non può creare nuove idee semplici indipendenti dall'esperienza né distruggere quelle provenienti da essa.

Locke afferma che l'intelletto non conosce direttamente le cose, ma solo attraverso le idee. La conoscenza è considerata vera quando le idee corrispondono alla realtà delle cose. Tuttavia, come possiamo distinguere la realtà dai sogni e dalle visioni immaginarie? Per le idee semplici, che derivano passivamente dall'esperienza sensoriale, questo non è un problema, poiché non possono ingannarci. Le idee complesse, invece, sono il risultato dell'attività mentale e possono essere soggette a errore, poiché la mente può comporle in modo erroneo senza verificare la loro corrispondenza con la realtà. Questo porta alla formazione di idee fantastiche, come l'ippogrifo o l'unicorno. Locke analizza quindi le varie tipologie di idee complesse, inclusi i modi, le sostanze e le relazioni.


Le idee di modi sono complesse e dipendenti dalle sostanze alle quali si riferiscono. Non hanno un'esistenza autonoma ma sono manifestazioni di sostanze. Ad esempio, l'idea di gratitudine implica il riconoscimento di un favore ricevuto da un individuo specifico, mentre l'idea di bellezza dipende dalla percezione di una composizione di colori e figure che piace a chi la osserva. Allo stesso modo, l'idea di furto comporta un cambiamento di possesso senza il consenso del proprietario e coinvolge diverse idee combinate.

Le idee di sostanze si riferiscono a entità considerate distinte e autosufficienti, come "uomo", "cavallo" o "gregge". Tuttavia, secondo Locke, queste idee possono essere fuorvianti perché presuppongono l'esistenza di un substrato o "sostanza" che sostiene le qualità degli oggetti. Locke contesta questa concezione, sostenendo che l'esperienza fornisce solo idee semplici e non supporta l'idea di una sostanza sottostante. Questa prospettiva contrasta con la tradizione filosofica precedente, come quella di Cartesio e Spinoza, che basavano i loro sistemi su questo concetto. Locke introduce così una nuova visione che considera la sostanza come inconoscibile.

Locke osserva che le idee di sostanze corporee comuni, come il cavallo o la pietra, derivano dalla somma delle idee semplici di sensazione delle loro qualità. Tuttavia, poiché non riusciamo a concepire come queste qualità possano esistere autonomamente, supponiamo l'esistenza di una sostanza comune che le sostenga, anche se non abbiamo un'idea chiara di questa supposta sostanza. Lo stesso principio si applica alle sostanze spirituali, come le operazioni della mente, che attribuiamo a un substrato chiamato "spirito". In generale, l'idea di "sostanza" rappresenta per Locke una supposizione di un sostegno sconosciuto per le qualità che producono idee semplici in noi.

 Le idee di relazioni si formano quando associamo un'idea con un'altra. Ad esempio, l'idea di padre implica quella di figlio, mentre l'idea di causa porta con sé l'idea di effetto, come nel caso del calore e dello scioglimento della cera. Un'altra relazione fondamentale è l'identità, che stabilisce il legame tra due concetti, consentendo di riconoscere un'entità come parte di sé stessi, come nel caso del riflesso di un volto nello specchio.

Secondo Locke, la critica all'idea di sostanza mette in luce i limiti della nostra capacità di conoscenza, poiché non possiamo percepire ciò che sta al di là delle nostre esperienze sensibili. La nostra conoscenza è quindi circoscritta a ciò che possiamo percepire attraverso i sensi o attraverso le nostre esperienze interiori. Tuttavia, ci sono due certezze non sensibili: l'esistenza del nostro io, che percepiamo intuitivamente, e l'esistenza di Dio, che conosciamo attraverso una catena di intuizioni che collega diversi concetti tra loro. La presenza stessa delle cose ci suggerisce l'esistenza di un creatore, poiché, secondo Locke, dal nulla non può derivare nulla, e quindi esige l'esistenza di una causa primaria.

Secondo Locke, la nostra conoscenza della realtà esterna è affidabile ma non assoluta, limitata dalla nostra capacità di percezione. Ad esempio, non possiamo comprendere le parti minime della materia o l'immensa estensione dello spazio. Locke dedica le ultime pagine del "Saggio sull'intelletto umano" al tema della probabilità, sottolineando che gran parte delle nostre affermazioni non possono essere conosciute con certezza assoluta. Tuttavia, la probabilità rappresenta un ampio campo su cui possiamo fare affidamento, richiedendo un esame attento e la conformità con l'esperienza o la testimonianza di altri. La ragione, moderata dall'esperienza, rimane il nostro principale strumento per orientarci nel mondo, nonostante i suoi limiti e le sue sfide.

Il terzo libro del "Saggio sull'intelletto umano" di Locke affronta il problema del linguaggio, poiché l'autore riconosce la sua importanza fondamentale nell'esprimere il pensiero in modo chiaro e trasparente. Le parole, secondo Locke, fungono da sostituti delle idee e sono convenzionalmente associate ad esse per renderle manifeste agli altri. Tuttavia, quando si devono esprimere concetti complessi, spesso mancano i termini adeguati o si sceglie in modo errato, compromettendo la comunicazione. Locke identifica tre obiettivi fondamentali del linguaggio: comunicare i propri pensieri agli altri, farlo in modo facile e rapido, e trasmettere la conoscenza delle cose. Il linguaggio è mal utilizzato quando non riesce a raggiungere uno di questi obiettivi, ad esempio quando le persone usano parole senza comprendere il loro significato preciso o quando applicano nomi con significati privati. Locke conclude che chiarire il linguaggio porta a una maggiore precisione nel ragionamento e migliora la comunicazione e la conoscenza della realtà.


Locke, oltre ad essere considerato il fondatore dell'empirismo, è riconosciuto come il principale teorico del pensiero liberale e democratico moderno. Le sue idee politiche, esposte principalmente nei "Due trattati sul governo civile", pubblicati anonimamente nel 1690, ebbero un'ampia diffusione in Europa, influenzando gli illuministi francesi e i padri fondatori degli Stati Uniti. I suoi scritti sulla tolleranza, come la celebre "Lettera sulla tolleranza", sono considerati manifesti della libertà religiosa e di pensiero. Nel primo dei "Due trattati sul governo civile", Locke polemizza contro la tesi di Robert Filmer, che giustificava il potere assoluto dei re come derivato da Adamo per diritto ereditario. Locke smonta questo pregiudizio usando la ragione critica e dimostra l'assurdità dell'assimilazione dell'autorità politica a quella paterna, sottolineando le differenze tra il potere politico e l'autorità familiare.

Nel Secondo trattato, Locke delinea la natura dello Stato a partire dalla definizione dello stato di natura, la condizione originaria ipotetica in cui gli uomini vivono privi di norme positive e vincoli sociali. Contrariamente a Hobbes, Locke vede gli individui dello stato di natura come esseri razionali dotati di una legge morale derivante da Dio, che garantisce i diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà. Pur non essendo una licenza senza freni, lo stato di natura manca di una garanzia del diritto, consentendo a ciascuno di agire secondo i propri interessi senza un'autorità superiore. Per superare questa condizione, Locke propone il contrattualismo, secondo cui gli individui stipulano un patto di unione per formare una società civile e un altro patto di sottomissione a un'autorità che protegga i loro diritti e perseguirne gli obiettivi collettivi.

La differenza nella concezione del patto di sottomissione porta a posizioni politiche divergenti tra Hobbes e Locke. Per Hobbes, il contratto implica la totale sottomissione dei cittadini al sovrano, mentre per Locke lo Stato è istituito per proteggere i diritti naturali di ciascun individuo, e quindi l'autorità statale è vincolata al rispetto della legge. Secondo Locke, il governo ha il compito di garantire la vita, la libertà e la proprietà dei membri della società, e quindi non può esercitare un potere assoluto e arbitrario. Questa visione lockiana del contrattualismo è strettamente legata al giusnaturalismo, poiché lo Stato non può tradire i diritti naturali inviolabili delle persone senza perdere la sua legittimità. L'unico diritto di cui il cittadino rinuncia entrando nella società civile è quello di farsi giustizia da solo, poiché il compito primario dello Stato è difendere i diritti dei suoi membri. Mentre per Hobbes la giustizia è identificata con la volontà del sovrano, per Locke il governo ottiene la sua legittimità dalla protezione e dal rispetto dei diritti naturali degli individui.

La proprietà privata 

Locke considera la proprietà privata come uno dei diritti naturali dell'uomo, affermando che fin dallo stato di natura ogni individuo ha il diritto inalienabile di godere e disporre dei suoi beni. Secondo la sua concezione, Dio ha dato la terra come risorsa comune a tutti gli uomini, ma poiché la terra non produce spontaneamente i suoi frutti, è necessario il lavoro umano per renderla produttiva. Pertanto, i beni prodotti devono appartenere a coloro che li hanno ottenuti tramite il proprio lavoro. Questa teoria, innovativa per l'epoca, stabilisce che la legittimazione della proprietà privata risiede nel lavoro, contrariamente all'idea di privilegio acquisito.

Tuttavia, Locke impone dei limiti alla proprietà privata. Ispirandosi ai principi cristiani di solidarietà, afferma che gli uomini non dovrebbero appropriarsi eccessivamente delle risorse, poiché ciò priverebbe gli altri del necessario per sopravvivere. Nonostante ciò, Locke ammette una sorta di contraddizione, suggerendo che il possesso di una maggiore quantità di beni è giustificato dall'uso della moneta, la quale può essere accumulata senza danneggiare gli altri, poiché non si deteriora nelle mani del possessore. Questo implica che per Locke, ciò che rende illegittimo un possesso eccessivo è lo spreco di merci, mentre l'accumulo di oro e argento, metalli non deperibili, è considerato lecito. Secondo Locke, la proprietà privata non si limita ai beni materiali, ma include più ampiamente la vita, la libertà e gli averi di un individuo. La società politica, quindi, nasce per proteggere questo diritto fondamentale, che è particolarmente minacciato nello stato di natura.

I principi fondamentali del liberismo

La visione politica di Locke, fondamentale per molte Costituzioni democratiche, si basa su tre principi chiave:

1. Consentimento dei cittadini: Il potere dello Stato deriva dal consenso dei cittadini, espresso attraverso le decisioni della maggioranza dei loro rappresentanti.

2. Governo secondo la legge: Lo Stato deve agire in conformità con le leggi promulgate, che sono uguali per tutti i cittadini. Questo include la protezione dei diritti fondamentali come la proprietà privata, la libertà di pensiero ed espressione e il diritto alla vita.

3. Separazione dei poteri: Il potere legislativo (che fa le leggi) deve essere separato da quello esecutivo (che le applica). Questo principio mira a evitare l'accumulo di autorità e proteggere i cittadini dall'abuso di potere.

Questi principi sono fondamentali per garantire la libertà, l'equità e la giustizia nelle società democratiche.

La tolleranza religiosa e la separazione tra Stato e Chiesa

La tolleranza religiosa di Locke, espressa nella sua Lettera sulla tolleranza, stabilisce una netta separazione tra lo Stato e la Chiesa. Secondo Locke, il potere politico ha il compito di fare e far rispettare le leggi, mentre le istituzioni religiose devono soddisfare i bisogni spirituali dei fedeli, con la fede che risiede nell'intimo dell'anima e necessita di libertà. Confondere queste sfere sarebbe come mescolare il cielo e la terra. Questa distinzione è fondamentale per garantire la libertà di pensiero e di fede.

Secondo Locke, la Chiesa è una società libera e volontaria, dove gli individui entrano e escono liberamente. Il suo compito principale è aiutare i suoi membri a ottenere la salvezza dell'anima utilizzando solo "armi spirituali" come consigli e moniti. Tuttavia, se qualcuno viola ripetutamente le regole della comunità religiosa senza possibilità di redenzione, la Chiesa può espellerlo, ma senza recare danno alla persona o ai suoi beni materiali.

Al contrario, il potere politico non deve interferire con la religione e garantire la libertà di culto. Il re non può imporre il proprio credo ai sudditi, né costringerli ad aderire a una religione specifica. Inoltre, non può permettere pratiche religiose che violano le leggi civili, come il sacrificio di bambini.

Tuttavia, lo Stato non può tollerare comportamenti che minano la convivenza sociale o ledono i buoni costumi necessari per la sua sopravvivenza. Le Chiese che promuovono comportamenti immorali devono essere represse dal sovrano.

Inoltre, Locke esclude dalla sua dottrina della tolleranza i cattolici, poiché obbediscono a un'autorità straniera considerata intollerante, e gli atei, poiché non possono stipulare il patto fondamentale su cui si basa la società umana senza l'ammissione di Dio.

Ragione e fede

Nel suo scritto intitolato "Ragionevolezza del cristianesimo", Locke riduce la religione cristiana al suo nucleo razionale, circoscrivendola a poche verità fondamentali comprensibili e accettabili per l'intelletto umano, come l'esistenza di Dio, il ruolo salvifico di Cristo e alcuni precetti morali. Questa prospettiva, chiamata "deismo" nel Settecento illuminista, sostiene che la fede cristiana non è in contraddizione con la ragione, ma anzi contribuisce a rafforzarla nel campo dell'etica.

Secondo Locke, ragione e fede collaborano per migliorare la vita degli individui, e il cristianesimo, nei suoi principi fondamentali, è intrinsecamente ragionevole e accettabile. Tuttavia, è importante evitare il settarismo che enfatizza gli aspetti secondari dei singoli riti religiosi, poiché ciò può causare confusione e conflitto tra le varie confessioni.

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