Thomas Hobbes

 Thomas Hobbes, figura singolare nel pensiero moderno, si distingue per la radicalità delle sue posizioni teoriche, affermando l'assolutismo regio come unica difesa contro il caos sociale. La rilevanza del suo pensiero nella tradizione occidentale si basa principalmente su questa dottrina politica, riflettendo le ansie e le paure di una tumultuosa fase della storia europea.

Hobbes, esperienziando l'individualismo e l'aggressività umana, narra queste tematiche nelle sue opere. Si definisce "fratello gemello della paura", in quanto nato prematuramente a causa dello spavento causato dall'arrivo dell'Invincibile Armata spagnola nel 1588. Hobbes vive drammi come la rivoluzione inglese (1628-1660) e l'esecuzione di re Carlo I (1649). Nel 1640, per il timore che le sue idee filo-monarchiche potessero suscitare reazioni dure da parte dei sostenitori del Parlamento , si rifugia in Francia, tornando in patria solo nel 1651, siccome neanche all'estero si sente sicuro dagli oppositori politici.


Hobbes, influenzato da una difficile situazione personale e pubblica, orienta il suo pensiero verso la pace, che ritiene ottenibile attraverso l'applicazione della legge e un potere forte. Il suo progetto politico nasce da una visione pessimistica dell'essere umano, considerato egoista e violento, riflettendo il motto latino "homo homini lupus" (ogni uomo è un lupo per l'altro uomo). Hobbes, basandosi su una concezione negativa della natura umana, sostiene che senza regole e controllo, gli uomini sarebbero privi di limiti, governati solo dalla forza. L'obiettivo del filosofo è creare una comunità civile ordinata e pacifica, giustificando il trasferimento di potere al sovrano per garantire pace e tranquillità, presentando l'assolutismo come necessità logica e razionale mediante una strategia argomentativa rigorosa.


La prospettiva materialistica 

La filosofia di Hobbes si fonda sull'idea che gli individui siano mossi dall'egoismo, vivendo in uno stato di continua lotta tra di loro. Questa prospettiva trae origine dalla visione materialistica di Hobbes sull'essere umano, considerato un ente puramente naturale e corporeo. Nel "Leviatano", Hobbes afferma che ogni conoscenza ha origine nei sensi, i quali, a loro volta, sono spiegati come movimenti causati dagli oggetti esterni che agiscono sugli organi di senso e, attraverso i nervi, raggiungono il cervello.

Il processo sensoriale produce immagini degli oggetti e la rappresentazione delle loro qualità. Queste immagini, persistendo nella memoria e collegandosi tra loro, generano ciò che Hobbes definisce immaginazione. Quest'ultima non è immateriale, ma piuttosto una connessione di sensazioni. L'intelletto entra in gioco come una sorta di macchina calcolatrice che opera sui segni linguistici, collegando i nomi attribuiti alle immagini per formare affermazioni e dimostrazioni.

Ad esempio, Hobbes spiega come, connettendo i concetti di "corpo", "animato" e "razionale", si possa ottenere il concetto complesso di "uomo". Togliendo il concetto di "razionale" da questa composizione, si giunge al concetto di "animale". Questa analisi dettagliata riflette la metodologia di Hobbes nell'analizzare la natura umana e la formazione delle idee attraverso una prospettiva materialistica e empirica.

Il filosofo, nel Leviatano, descrive la ragione come la facoltà del conoscere basata su un modello matematico. Sostiene che quando un uomo ragiona, compie operazioni computazionali come l'addizione o la sottrazione di particelle, estendendo questo processo a tutte le forme di conoscenza, dalle lettere alle arti alla scienza politica.

Scienza e linguaggio

Nella prospettiva di Hobbes, la scienza è considerata una costruzione artificiale basata su logica e linguaggio, differenziandosi da Galileo che la vedeva come una riproduzione concettuale della struttura matematica oggettiva della natura. Hobbes sostiene che la scienza non riflette la realtà ma è un reticolo di concetti convenzionali, poiché l'uomo non può conoscere le cause dei fenomeni, attribuite a Dio. La ragione, guidata dai sensi, produce solo concetti individuali, senza una descrizione sistematica oggettivamente valida dell'universo. In contrasto, Hobbes afferma che l'uomo può avere una conoscenza "scientifica" della politica, poiché è una costruzione umana. Il linguaggio svolge un ruolo cruciale, consentendo la definizione, la comparazione e la generalizzazione dei concetti, e servendo a designare le cose e comunicare idee ad altri.

Nel testo, Hobbes affronta il ruolo cruciale del linguaggio nel processo di costruzione della conoscenza. Le parole, definite "signa" dagli antichi, sono considerate da Hobbes come segni convenzionali che svolgono due funzioni principali: mnemonica e comunicativa. Esse sono come "impronte" o "tracce" che indicano i concetti delle cose.

Hobbes distingue le parole che significano cose individuali e singolari, come "Pietro" o "quest'uomo", da quelle che si riferiscono a molte cose, come "uomo" o "albero". Queste ultime, prese nel loro insieme, sono denominate "universali". L'universale, secondo Hobbes, è una generalizzazione ottenuta attraverso i nomi; un nome universale è attribuito a molti elementi a causa della loro somiglianza rispetto a qualche qualità o particolarità. Il filosofo sottolinea che le parole svolgono un ruolo chiave nella capacità della ragione umana di operare generalizzazioni necessarie alla costruzione della scienza e della conoscenza. Il nome "corpo" è citato come esempio di costruzione artificiale che permette di raggruppare tutto ciò che esiste e si muove, poiché Hobbes ritiene che tutto possa essere ridotto alla corporeità.

Hobbes illustra l'importanza del linguaggio per la conoscenza scientifica attraverso un esempio pratico. Descrive un uomo privo del linguaggio che, confrontando due figure geometriche, può dedurre alcune relazioni ma è incapace di generalizzarle. In contrasto, chi dispone del linguaggio può formulare una legge universale, come l'eguaglianza degli angoli in un triangolo, evitando di dover ricorrere a nuovi ragionamenti ogni volta che si incontra una forma simile. Hobbes evidenzia che l'uso delle parole semplifica il processo mentale, permettendo di generalizzare scoperte specifiche in leggi universali, risparmiando tempo e spazio di calcolo mentale.

I principi della realtà: corpo e movimento


Hobbes sostiene che l'intera attività mentale si riduca, in definitiva, a sensazioni e movimenti. Le immagini delle cose e i nomi utilizzati nei ragionamenti derivano da questi due fattori fondamentali, e Hobbes considera l'uomo come un organismo totalmente corporeo, il cui scopo è mantenere e manifestare naturalmente le sue funzioni.

Nel contrasto con Cartesio, Hobbes respinge l'esistenza di una res cogitans separata dalla res extensa. Per lui, pensiero, volontà ed emozioni sono riconducibili alla materia corporea e all'interazione tra il corpo e il cervello. L'anima stessa è considerata corpo, e Hobbes arriva a sostenere che, rigorosamente parlando, non possiamo nemmeno dire che Dio sia incorporeo, poiché tutto ciò che non è corporeo è, secondo lui, inesistente.

In questa prospettiva materialistica, persino concetti come bene e male, insieme ai sentimenti ad essi collegati, sono ricondotti alla corporeità. Hobbes interpreta il bene come ciò che l'uomo desidera, mentre il male è ciò che respinge, con il bene favorevole alla conservazione fisica e il male come minaccia alla sopravvivenza. Secondo Hobbes, tutti i sentimenti, anche quelli tradizionalmente considerati nobili, come amore, compassione, pietà e dedizione, sono manifestazioni dell'istinto di conservazione e dell'amor proprio. Hobbes, in connessione al suo materialismo antropologico ed etico, sostiene vigorosamente il determinismo della volontà in una polemica con il vescovo Bramhall. Egli afferma che si può parlare solo di "libertà di fare ciò che la volontà ha deciso", mai di "libertà di volere". La volontà, secondo Hobbes, non è libera, ma è intrinsecamente determinata da motivi o cause che dipendono, alla fine, da oggetti esterni all'uomo; questi influenzano la volontà senza possibilità di evitare tale influenza.

In questa prospettiva, la libertà si restringe drasticamente alla sola "libertà di azione", ovvero l'assenza di costrizione nell'esecuzione di un'attività scelta dalla volontà. Inoltre, Hobbes sostiene che l'uomo agisce sempre e necessariamente mosso dall'appetito (il desiderio di ottenere qualcosa per la propria conservazione) o dal timore (della morte, delle minacce, della sopraffazione da parte degli altri). Il timore e l'appetito sono considerati da Hobbes come due stimoli necessari e naturali ai quali la volontà umana non può sfuggire.


La teoria dell’assolutismo politico

Contrastando l'idea aristotelica dell'uomo come "animale politico", Hobbes sostiene che gli individui non hanno un istinto innato "socievole" o "amorevole" verso gli altri. Al contrario, sono guidati da sentimenti come il bisogno e il timore. Queste passioni definiscono lo "stato di natura" secondo Hobbes, una condizione primordiale precedente alla formazione della società, caratterizzata da una "guerra di tutti contro tutti". In questo stato, ogni individuo cerca di garantire la propria sopravvivenza e autoconservazione, perseguendo il proprio bene a scapito degli altri. Non esistono limiti al diritto individuale, portando inevitabilmente a sopraffazioni reciproche, con ogni persona vista come nemica, focalizzata su prevenire azioni altrui e offendere prima di essere offesa.

Nello stato di natura, Hobbes sostiene che non c'è spazio per attività come il lavoro, la scienza o le arti. Gli sforzi umani sarebbero incerti e minacciati dall'invidia e dall'avidità altrui. Vivendo nel timore di una morte improvvisa e violenta, non si può dedicarsi all'agricoltura, alla navigazione, alla costruzione o all'applicazione della conoscenza in varie discipline. La vita in questo stadio è descritta da Hobbes come solitaria, misera, brutale e breve.

Hobbes sostiene che la condizione umana descritta, caratterizzata da ostilità, conflitto e violenza reciproca, è confermata dall'esperienza quotidiana. Gli uomini, vivendo nei suoi tempi drammatici, viaggiano armati, chiudono a chiave le porte di notte e si mostrano diffidenti persino nei confronti di familiari. Il filosofo afferma che, sebbene non ci sia sempre conflitto, la storia mostra re e governanti comportarsi come gladiatori con forti misure difensive. Questo indica una predisposizione umana alla guerra, evidenziando ostilità e misure difensive come parte della vita umana. Hobbes precisa che lo stato di natura è un'ipotesi razionale sulla società umana in assenza di un potere superiore a regolare i rapporti tra gli individui. Sebbene non sia una realtà pienamente manifestata nella storia, è parzialmente verificata in situazioni come società primitive o guerre civili, sottolineando i rischi umani e la necessità di istituire ordinamenti giuridici per contenerli.

Basandosi su queste premesse, Hobbes procede deduttivamente, affermando che chi desidera continuare a vivere nello stato di natura si contraddice, poiché vuole contemporaneamente la propria vita e la propria morte, considerando la reciproca soppressione che caratterizza la lotta tra uomini uguali per natura. Hobbes sostiene che per sopravvivere gli uomini devono evitare la lotta indiscriminata e limitare la loro illimitata libertà, rinunciando al diritto naturale e soggettivo. Questa necessità, dettata dalla ragione naturale, porta alla creazione della società civile come compromesso tra gli individui, dove ognuno rinuncia al proprio diritto naturale incondizionato.

La ragione suggerisce massime fondamentali (ovvero leggi naturali), tra cui la ricerca della pace. Ogni individuo deve rinunciare volontariamente al proprio diritto su tutte le cose, accettando una libertà equilibrata rispetto agli altri. Questa massima si applica a condizione che tutti gli individui facciano lo stesso. L'uscita dallo stato di natura avviene attraverso un patto che lega tutti i contraenti, e affinché l'accordo funzioni, i patti devono essere rispettati secondo la terza legge di natura: pacta servanda sunt (“i patti devono essere rispettati”).

Da queste massime fondamentali derivano altre leggi, come quella della giustizia, che implica il rispetto delle regole, e la legge dell'uguaglianza, che richiede che ogni uomo riconosca l'altro come suo uguale. In caso di controversia, le parti devono sottoporsi alla sentenza di un terzo, il giudice o arbitro.

Il patto di unione e il patto di sottomissione


Secondo le leggi naturali, è razionale che gli uomini rinuncino ai loro diritti naturali e costituiscano una società politica e civile attraverso un "patto di unione", orientato verso il bene comune. Tuttavia, questo accordo non è sufficiente per garantire una situazione sicura e stabile. Hobbes sostiene che, a differenza di api e formiche che si associano per istinto, gli uomini sono in continua competizione per onore e dignità, generando invidia, odio e, alla fine, guerra. Contrariamente a api e formiche, dove il bene individuale coincide con quello collettivo, tra gli uomini il perseguimento dell'interesse individuale, come primeggiare sugli altri, entra in conflitto con il bene comune. La capacità umana di ragionare e utilizzare il linguaggio introduce ulteriori complessità, poiché gli individui possono criticare pubblicamente e comunicare idee divergenti. In sintesi, mentre l'accordo tra api e formiche è naturale, quello tra gli uomini è un accordo artificiale, basato sulla volontà e consolidato attraverso un patto.

Di conseguenza, oltre al "patto di unione", Hobbes sostiene che sia necessario un "patto di sottomissione" per rendere l'accordo degli uomini costante e duraturo. Questo pactum subiectionis implica che gli uomini conferiscano il loro diritto e la loro forza a un individuo o a un'assemblea, capace di unificare i diversi voleri in una sola volontà. Hobbes sottolinea che questo va oltre un semplice "accordo", definendolo come una vera unificazione di tutti gli individui in una singola persona, ottenuta attraverso un patto reciproco in cui ciascuno autorizza e cede il proprio diritto di autogoverno a un'altra persona o assemblea, con l'accordo che gli altri facciano lo stesso. 


Il Leviatano

Hobbes sostiene che l'autorità dello Stato, sia essa un re o un'assemblea, deve essere assoluta, poiché solo così le leggi possono essere efficacemente applicate. Questo potere sovrano, denominato da Hobbes "Leviatano", unifica in sé il potere di tutti gli individui, garantendo l'ordine sociale e la sicurezza. Hobbes rappresenta il Leviatano come una figura sovrumana, simboleggiando la concentrazione di tutti i poteri nelle mani dell'autorità suprema. Hobbes distingue il ruolo del "sovrano", superiore a tutti, dai "sudditi", che sono sottomessi all'autorità. Quest'ultimo può essere ottenuto tramite la forza o tramite un accordo volontario tra le persone per garantire la sopravvivenza. Hobbes si concentra principalmente sullo Stato istituzionale derivante dal patto tra gli individui, rappresentando una forma di giusnaturalismo moderno che transita dallo stato di natura allo stato civile attraverso un accordo consensuale.

Hobbes sostiene che il sovrano può essere rappresentato da un individuo, un gruppo o un'assemblea, con una preferenza per la monarchia. Questa scelta è giustificata dalla capacità del re di agire nell'interesse pubblico senza influenze esterne, mantenendo la riservatezza nelle decisioni. Inoltre, la monarchia evita conflitti interni, poiché il potere legislativo è concentrato in una sola autorità, riducendo il rischio di guerra civile. Sebbene la monarchia possa avere svantaggi come favoritismi o regnanti inadeguati, questi possono essere mitigati tramite un tutore temporaneo o altri mezzi.

Nella visione politica di Hobbes, il sovrano ha un potere estremamente ampio e illimitato, che persiste fino alla sua morte poiché i sudditi non possono revocare il patto sociale stipulato. Il monarca impone l'obbedienza alle leggi civili ai sudditi, ma non è tenuto a rispettarle personalmente, rimanendo un individuo "pre-sociale" governato solo dalla propria ragione individuale. Il potere sovrano include il controllo delle azioni e delle opinioni dei sudditi, la punizione per la disobbedienza e il divieto di dissenso, poiché il sovrano è la legge stessa. Tuttavia, Hobbes ammette dei limiti al potere del sovrano quando gli ordini mettono in pericolo la vita dei sudditi, consentendo loro di disobbedire in tali circostanze. Il suddito non è obbligato a testimoniare contro se stesso o a partecipare a un'azione militare pericolosa, a meno che ciò sia richiesto dal sovrano per la conservazione della pace. In caso di mancanza di regolamentazione da parte del sovrano, il suddito è libero di agire secondo il proprio giudizio.


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